Madison Morrison's Web / Particolare e Universale

Capitolo quarto

L'UNIVERSALE NELLA
LETTERATURA INGLESE

Nothing can please many, and please long, but just representations of general nature. Shakespeare is, above all modern writers, the poet of nature … His characters are not modified by the customs of particular places, unpracticed by the rest of the world … In the writings of other poets a character is too often an individual: in those of Shakespeare it is commonly a species.
(Nulla può far piacere a molti, e far piacere a lungo, se non le rappresentazioni della natura generale. Shakespeare è, più di ogni altro scittore, perlomeno più di ogni altro scittore moderno, il poeta della natura … I suoi personaggi non sono modificati dalle usanze di luoghi particolari, non praticate dal resto del mondo … Nelle opere di altri poeti, un personaggio è troppo spesso un individuo: in quelle di Shakespeare è quasi o sempre una specie.)
Samuel Johnson

This universality, this necessity, is an extra-logical psychological fact, resultant of a purely automatic act of the mind: it is not a logical conclusion from adequate premises -
We express our belief in logically unjustifiable language - a universal statement is really a particular statement about the nervous apparatus of thought.

(Questa universalità, questa necessità, è un fatto psicologico al di fuori della logica, derivante da un atto mentale puramente automatico; non è una conclusione logica derivata da adeguate premesse -
Noi esprimiamo il nostro credo in un linguaggio logicamente ingiustificabile - un'affermazione universale è in realtà un'affermazione particolare riguardo al sistema nervoso del pensiero.)

Oscar Wilde

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Nella loro calorosa accettazione delle dottrine attuali, né Johnson né Wilde ci forniscono un'asserzione molto equilibrata sul secolare problema: "Cos'è il particolare e cosa l'universale?" Johnson avrebbe fatto meglio a dire che Shakespeare crea personaggi che sono sia individui, sia specie. Wilde avrebbe fatto meglio a dire che espressioni di credo comune sono sia particolari, sia universali. Né l'individuo è meno individuale in quanto parte di una specie, né l'universale meno universale in quanto è anche particolare: espresso in una data lingua, da un dato parlante, in un dato momento. Attualmente, in alcuni circoli, è favorita l'enfasi sul particolare al posto di ciò che una volta era chiamato una visione più cosmopolita delle cose.

Gli universali, esistono? Ci siamo chiesti - se non dall'inizio dei tempi, per lo meno dall'inizio della speculazione filosofica. In un senso comune, opposto a un senso tecnico, esistono sicuramente. Tutti noi siamo nati, e tutti noi moriremo; tutti noi parliamo una lingua, condividiamo certi bisogni, emozioni, ideali. Il fatto che questi fenomeni vengano messi a fuoco in individui singoli non li rende meno universali. In realtà, per Agostino la voce più individuale, quella che parla dentro di noi, è la voce più universale, la voce di Cristo, della verità - del Paramatman, comunque noi lo denominiamo. In breve, l'universale è sempre particolare, e il particolare è sempre universale.

L'universale, come Dio, come l'esistenza, non si presta facilmente a prova logica. Di questo Wilde prende nota, quando riduce la filosofia a psicologia. Ma le due non sono la stessa cosa. La filosofia occidentale ha a lungo cercato di definire l'universale, e un rapido esame di tali sforzi potrebbe esser interessante. Aristotele, denominato "l'empirista", ci ha insegnato a generalizzare cercando l'universale immanente nelle cose. La sua visione ha molto a che fare con la tendenza generalizzatrice dell'ultima letteratura classica - per non menzionare la neoclassica. Orazio, per esempio, nel reame della critica letteraria, ha ridotto la teoria aristotelica del genere a una dottrina dei tipi fissi. La visione classica favorì le norme etiche, le proporzioni della bellezza e i principi del decoro, tutte cose che tendevano alla regolarizzazione della teoria e pratica estetiche.

Tramite il suo appello alla tradizione, il cristianesimo ha rinforzato questa corrente conservativa nel pensiero occidentale. "Ciò che è stato insegnato sempre, ovunque e da tutti, dev'esser creduto", afferma il santo del quinto secolo, Vincent di Lering. Il dibattito medievale tra il particolare e l'universale - definito nominale contro reale - ondeggiò avanti e indietro, come aveva fatto il classico, sebbene la visione realista più permanente tendesse a prevalere. Per Tommaso d'Aquino la caratteristica essenziale della mente risiede nella sua abilità ad afferrare gli universali, quelle categorie che trascendono la conoscenza fornita dai sensi.

Il dibattito si estese fino al Rinascimento, durante il quale Telesio (1509-1588) affermò che la conoscenza dev'esser basata sui sensi, mentre Campanella (1568-1639) asserì che i sensi devono unirci all'universo. Come Pomponazzi (1462-1524) aveva attribuito tutte le religioni all'azione di leggi cosmiche, così i pensatori tardo-rinascimentali come Hooker, Tyndale e Grotius, svilupparono il concetto di legge di natura, una specie d'universale concreto che prefigura Hegel.

Da questo concetto di natura l'illuminismo produsse il concetto di natura umana, che a sua volta portò alla natura generale della dichiarazione di Johnson. Hume aveva osservato che "è universalmente riconosciuto che vi è una grande uniformità tra le azioni dell'uomo, in tutte le nazioni ed età, e che la natura umana rimane ancora la stessa, nei suoi principi e nelle sue azioni". La nuova dottrina dell'uniformità estende il concetto lungo tutto lo spazio e il tempo. In una mossa aristotelica, l'illuminismo riduce la molteplicità all'unità, sussumendo il particolare nel generale. Come Platone, a volte considera il generale come trascendentale. Samuel Johnson, nel suo racconto orientale Rasselas (1759), dice dello scrittore che lui

must divest himself of the prejudices of his age or country; he must consider right and wrong in their abstracted and variable state; he must disregard present laws and opinions, and rise to general and transcendental truths, which will always be the same.
(deve spogliarsi dei pregiudizi della sua epoca o del suo paese; deve considerare il giusto e l'errato nel loro stato astratto e variabile; deve ignorare le leggi e le opinioni presenti, ed elevarsi alle verità generali e trascendenti, che saranno sempre le stesse.)

Il neoclassicista inglese è pervenuto a una dottrina di verità universale che è culturalmente relativa e metafisicamente assoluta.

Dall'amore per la chiarezza che caratterizza l'illuminismo passiamo all'amore per il mistero che caratterizza la maggior parte del pensiero romantico. Qui l'assillo neoclassico per l'asserzione generale lascia il posto alla preoccupazione riguardante il simbolo, come nelle riflessioni di Goethe sulla sua relazione con l'idea, l'immagine e il linguaggio:

Il simbolo trasforma il visibile in un'idea e l'idea in un'immagine, in modo che l'idea nell'immagine rimanga infinitamente efficace e irraggiungibile, restando inesprimibile anche se pronunciata in tutte le lingue.

C'è qualcosa di unitario, e quindi universale, nella poesia, qualcosa che supera i confini della cultura e si oppone all'espressione in parole. Per il più filosofico Coleridge, influenzato dai coetanei di Goethe della scuola idealista tedesca, il fine della poesia è di manifestare"Unity or Revelation of the One in and by the Many" ('L'Unità dell'Uno nei Molti, e la Rivelazione dell'Uno da parte dei Molti'). Prendendo Goethe e Coleridge assieme, identifichiamo il processo - se è ancora un mistero - per cui l'intransigente particolare diviene il luminoso universale. In una tendenza parallela all'assimilazione kantiana del soggetto con l'oggetto nell'esperienza (Erfahrung), Goethe parla degli oggetti simbolici come se stesse evocando nella sua mente "idee simili e pertinenti, e pure estranee" - possiamo anche dire, idee native e anche esotiche. Egli continua, "di conseguenza, dal di dentro come anche dal di fuori, esse vantano una certa unicità e universalità". Il simbolo quindi rivaleggia con l'esperienza kantiana come modalità per l'integrazione di soggetto e oggetto. A Hegel non rimase altro che risaldare questa opposizione, rivendicare il connubio non solo tra soggetto e oggetto, come fece Kant, ma anche tra particolarità e universalità: "Ogni cosa sia genuinamente vera, nella mente e nella natura, è intrinsecamente concreta, avendo in sé sia la soggettività che la particolarità, e anche l'universalità". Alla fine l'universale concreto, avendo sostituito l'esperienza e il simbolo come termine di sintesi suprema, ottiene la sua piena dignità e forza filosofica. Nonostante i successivi sviluppi, siamo ancora sotto l'influenza della generalizzazione hegeliana, che non è né pienamente concreta né solamente astratta. Anche la protesta contro la sua alta valorizzazione dell'universale proviene filosoficamente dallo stesso Hegel.

E allora cosa dire dei principi universali della letteratura, o degli elementi universali in una sua particolare branca? Aristotele, in una visione in seguito consolidata dai neoplatonici, afferma che la poesia - ciò che chiameremmo letteratura - è essa stessa universale, cioè si diffonde dall'esperienza. Per i nostri scopi necessitiamo di un senso più specifico sui modi in cui essa può esser universale. Il soggetto sottomano, l'elemento universale nella letteratura inglese, è doppio: la letteratura inglese, e la sua posizione nel mondo. Di conseguenza, possiamo dividere la domanda: che dire della letteratura inglese che è intrinsecamente universale? e che dire che lo è concretamente?

Parlando in modo concreto, poiché l'inglese è diventato una lingua universale, la letteratura inglese è diventata oggetto di studio per coloro che desiderano padroneggiarla. Possiamo quindi dire che la letteratura inglese è diventata universale, cioè, che è un oggetto di studio a livello mondiale. Ma anche tradotta ha ottenuto una notevole popolarità internazionale. In altre parole, è universale non solo sotto coercizione ma anche nel suo fascino generale. Indubbiamente, ciò è in parte dovuto a lunghi secoli di egemonia britannica. Ma non solo. Keats ed Eliot, Dickens e Lawrence, sono letti in paesi che non sono mai stati sotto il dominio culturale dell'Impero Britannico. Non abbiamo bisogno di fare affidamento sulla travolgente evidenza del fascino di Shakespeare per rivendicare un'attrazione universale verso i classici inglesi, né abbiamo bisogno di presumere che siano letti semplicemente per motivi politici od economici.

La letteratura ha anche delle qualità che la rendono intrinsecamente universale. Qui possiamo distinguere tra due sensi del nostro nuovo termine. La letteratura inglese è intrinsecamente universale perché è insolitamente sincretista e inclusiva, prendendo come modello e incorporando le letterature greca, romana, dell'Europa continentale moderna e, recentemente, dell'Asia e dell'Africa. Come la letteratura occidentale, anch'essa è intrinsecamente universale in modo generale, giacché è interessata all'origine e alla struttura dell'universo: il mito della creazione, il mito della divinità, il mito degli avi originari.

La Bibbia, con le sue numerose origini asiatico occidentali, insieme ai classici greci e romani, servono come fonti principali della cosmologia e teogonia tradizionali. Inoltre, queste fonti forniscono alla letteratura occidentale il materiale per il suo ricorrente ripristino di temi esotici (Adamo ed Eva, la vita di Cristo, la vicenda di Troia, la storia di Roma). Tendiamo a dimenticarci che le antiche culture ebraica e cristiana, greca e romana, erano molto esotiche per i primi scrittori inglesi. L'inclusione di queste fonti portò anche a un esame storico retrospettivo, che ampliò immensamente, nello spazio e nel tempo, il mondo insulare della allora provinciale Inghilterra. Il ricorso alle tradizioni biblica e classica divenne una tecnica meno usata non appena l'Impero Britannico ebbe gradualmente conseguito la sua estensione e influenza.

La Bibbia, un'antologia di generi e tradizioni ampiamente diversi, servì essa stessa in origine come standard d'eclettismo. Inoltre, la sua retorica di tipo e antitipo, profezia e adempimento, saggezza e cronaca, fornì un modello per la dialettica dell'antico e del moderno. Il fatto che tanto della storia biblica punti a un futuro, così come a un passato e a un presente, universalizzò ancor di più il tempo e incoraggiò scrittori inglesi tanto diversi, come Chaucer (nel Troilus and Creseyde), Ralegh (nel suo progetto per The History of the World) e Blake (nel Jerusalem), ad adottare questa struttura comprensiva. Da libro multiplo ma anche singolo, la Bibbia servì a centralizzare l'influenza letteraria e quindi a standardizzare, o universalizzare, la tradizione.

I classici greci e romani furono anch'essi determinanti a questo riguardo. Il primo processo di formazione canonica servì a raccoglierli come una fonte e, per di più, servì a fornire un modello per formazioni canoniche successive. Emerse di nuovo un sistema bipolare, fornendo a tutte le culture europee una tradizione comune di vecchio e nuovo. Sebbene la Bibbia avesse i suoi imitatori e teoreti, il principio classico d'imitazione, già codificato nella tradizione stessa, era più esplicitamente elaborato di quello biblico. Le teorie imitative di Platone e Aristotele operavano accanto alla pratica tardo classica, medievale, rinascimentale e neoclassica per fornire sia una dottrina comune per quella pratica, sia un modello per la teoria successiva.

Come i suoi seguaci sono desiderosi di dirci, la parola di Dio è universale, Cristo è la verità universale e il salvatore. Lo stesso può dirsi per Allah. Tali pretese forniscono alle letterature cristiane e musulmane un principio di universalità? E se sì, la loro universalità si basa sul credo, o semplicemente sulla struttura unificata che il monoteismo conferisce a una cultura? Qualunque sia la risposta, la domanda stessa suggerisce un altro aspetto universale della letteratura inglese. In quanto Chaucer, Spenser e Milton, Wordsworth, Tennyson e Auden non possono esser letti separatamente dal sistema di fede che domina la loro opera. Sebbene i primi scrittori inglesi fossero universalmente cristiani, gli scrittori successivi o appoggiarono la fede in modo discontinuo, o presero totalmente a modello coloro che l'avevano in precedenza professata.

Come ho sostenuto, i classici esercitarono un'influenza universale sulla tarda letteratura inglese. Nel primo rinascimento, comunque, l'idea del classico assunse lo status di un universale. Appena la fede monoteistica del cristianesimo cominciò a declinare, questa nuova fede universale arrivò per molti a soppiantare, o per lo meno a integrare, la fede precedente. E così, arrivato il periodo neoclassico, le culture occidentali definirono se stesse nei termini di ancora un'altra dottrina centralizzante.

Ho parlato della Bibbia come l'antologia originale, e dei classici come il canone originale dei particolari eterogenei. Il Medio Evo fu profondamente determinato da esempi biblici e classici. Ma si svilupparono anche una nuova pratica e il relativo principio, la collocazione di fonti contemporanee, per esempio nelle compilazioni dei materiali Arturiani. Nel tardo rinascimento, la collocazione cedette il passo al sincretismo deliberato, per cui le tradizioni classiche e bibliche vennero fuse col moderno. Nel periodo che seguì, il sincretismo cedette a sua volta il passo a un eclettismo illuminato, per cui la tradizione significativa venne ampliata fino a includere materiali che risiedevano al di fuori dell'Europa o oltre il limite delle definizioni culturali precedenti.

Nell'enumerare il nostro catalogo di tendenze universalizzatrici, abbiamo in gran parte ignorato il ruolo dell'interpretazione. L'ermeneutica biblica e l'allegoresi classica hanno avuto un ruolo centrale nell'unificazione della letteratura occidentale. Inoltre, come basi di una tradizione critica che moralizza e generalizza il canone, le due pratiche sono state particolarmente utili nel determinare il carattere di tarde branche della cultura occidentale come per esempio la letteratura inglese. Non è solo il fatto che la tarda letteratura sia diventata più criticamente cosciente, intrinsecamente comparativa, deliberatamente cosmopolita; la sua vera natura venne determinata dalla sua assimilazione e perpetuazione delle tradizioni dell'ermeneutica e dell'allegoresi.

Queste tradizioni più ampie hanno origine remote. La Bibbia stessa è ermeneutica. Omero stesso, ho sostenuto, è un'allegorista o, a ogni modo, l'oggetto dell'allegoresi. Questi due metodi d'interpretare i testi, una volta stabiliti come procedura critica standard, cominciarono a influenzare la stesura stessa dei primi testi. La formazione della Chiesa Cattolica Romana, quell'istituzione centralizzatrice che determinò la natura di molta letteratura dei primordi, dipese in larga misura da un'attività ermeneutica che si trasformò in teologia. Virgilio centralizzò se stesso tanto attraverso la sua allegoresi di Omero quanto tramite la sua allegorizzazione di Roma. Presto i due modi d'interpretazione vennero combinati. Virgilio divenne oggetto sia dell'indagine ermeneutica cristiana sia dell'allegoresi neoplatonica. Intanto le tradizioni medievali dell'allegoresi - esse stesse non pienamente indipendenti da Virgilio, ma più condizionate dal commentario biblico - avevano dato origine a una letteratura completamente allegorica che alimentò l'opera di scrittori rinascimentali quali Tasso, Spenser e Du Bartas. Le teorie critiche di Tasso arrivarono ad avere un ruolo cruciale nella formulazione di progetti letterari successivi (specialmente quello di Milton). Il punto è che tutta quest'attività esegetica, allegorizzante e teoretica, creativa e allo stesso tempo critica, servì ad astrarre, ipostatizzare e universalizzare la tradizione. A causa della sua tarda posizione nella tradizione letteraria, la letteratura inglese modellò se stessa su altre letterature finché, sviluppando un proprio criticismo, acquisì una consapevolezza di sé. Una volta maturata la sua tradizione critica, la letteratura inglese fu nella posizione di perpetuare i propri classici, con le loro tendenze intrinsecamente universalizzatrici, anche malgrado il movimento ampiamente naturalistico che seguì.

Finora ho parlato di tendenze generali, delle tradizioni più influenti e delle tecniche critiche. Prima di rivolgerci ai singoli autori e alle loro opere, rimangono da menzionare diversi temi specifici che, poiché persistono come temi dall'inizio alla fine, servono a universalizzare la letteratura inglese. Torniamo alla Bibbia per la sua influenza primaria. Non solamente l'idea di Dio è un universale, ma anche la nozione della sua singolare incarnazione. In questa dottrina notiamo sia un'universalizzazione del particolare, sia una particolarizzazione dell'universale. La figura di Cristo, che ingloba quella di Adamo, fornisce un modello per l'emersione dell'individuo, sia nella forma di un genus humanum medievale (Uomo Qualunque), o di un eroe sofferente da scena rinascimentale (dove i modelli classici rafforzano la tendenza), o dei singolari protagonisti dei romanzi dell'Ottocento e Novecento. Il ricupero medievale e rinascimentale dell'epica classica rinforza quest'immagine centralizzata dell'uomo, nella sua battaglia con la natura e gli dei, nel suo viaggio attraverso la vita, nel suo sforzo per costruire un mondo. Altri temi che possono esser fatti risalire ai classici o al Medioevo, ma che sono sbocciati durante il Rinascimento, includono: l'interazione tra microcosmo e macrocosmo, la catena dell'essere, la teoria delle corrispondenze, e le questioni del tempo, della mutevolezza e dell'immortalità. L'illuminismo introdusse un vocabolario di universali filosofici totalmente nuovo, governato da una nuova dea chiamata Ragione. Il romanticismo e il post-romanticismo, facendoci ritornare in un certo senso a temi biblici e classici precedenti, rinnovarono quei miti dell'ordine e disordine impersonati nelle primissime configurazioni del caos e della creazione.

A trascendere le epoche ci sono certi topoi politici ed emozionali che il resto del mondo ha finito per considerare tipici dell'occidente. Gli universali politici includono le idee d'impero e democrazia. Tra i motivi sentimentali, l'amore, sia sessualizzato che sublimato, è probabilmente il più universale. Come tema, domina il romanzo medievale, le prime liriche, molta storia teatrale e la narrativa. Chaucer, Spenser, Shakespeare e Milton sono tutti assorbiti dal tema, come lo erano già stati in precedenza Omero, Virgilio, Ovidio e Dante. L'amore può assumere molte forme, spirituale od erotica, comica o tragica, mitica o realistica. Dal punto di vista etico può esser salubremente domestico o marginalmente adultero, incestuoso, omosessuale. Come tema ha un fascino ovviamente universale, anche se in tale dilagante profusione serve pure a differenziare l'occidente da altre culture meno romantiche, erotiche o spirituali.

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Nonostante il suo elemento cristiano e la sua profondità tematica, la Vecchia Letteratura Inglese non è cosmopolita. Rivissuta come oggetto di studio nel diciannovesimo secolo, e sporadicamente emulata nel successivo, rimane in una classe speciale di cose ammirevoli ma provinciali: l'oro della Scizia, il credo Giaino, la cultura Etrusca. Globalmente è troppo cupa e fatalista. È vero, la vita è una barca alla deriva tra le fredde correnti oceaniche, una matassa di amari patemi d'animo; ma è anche un Fair Field of Folk ('Giusto Gruppo di Gente'). Langland, tramite il potere astrattivo dell'allegoria cristiana, offre una filosofia più bilanciata, non meno seria per la delicatezza e delizia della sua visione personale. Ma anche Piers Plowman è in un certo modo limitato e provinciale: limitato proprio dalle convenzioni che lo ampliano, e provinciale nella sua mancanza dello spirito italiano contemporaneo che Samuel Daniel, nel suo Defense of Rhyme (1603), avrebbe in seguito chiamato "the miracle and phoenix of the world, which wakened up other nations likewise with this desire of glory" ('il miracolo e la fenice del mondo, che risvegliò le altre nazioni come anche questo desiderio di gloria'). Il tema della gloria può aver influenzato maggiormente l'epoca di Daniel che quella di Chaucer, ma è nell'opera di quest'ultimo, più che nell'opera di qualche altro scrittore medievale inglese, che percepiamo l'invigorimento dell'Italia, che il poeta visitò e, comunque, assorbì tramite l'opera di Dante, Petrarca e Boccaccio. Chaucer padroneggiava le forme medievali - dalla visione amorosa all'epica revivalistica, dal fabliau al romanzo cavalleresco - ma ravvivò questa tradizione principalmente francese con un realismo spontaneo e un'ironia esperta, fino allora mancanti nella lingua inglese. Oltre a dare il suo contributo a modelli classici e a modelli continentali più recenti, il suo ampio genio ha contribuito anche alla sua universalità. In questo egli è come Shakespeare e Fielding.

Un tipo diverso di universalizzazione avviene nel teatro che designiamo del mistero e della moralità. I Mystery Plays medievali prendono come struttura il calendario cristiano e, come soggetto, i misteri della nascita, morte e risurrezione di Cristo. La struttura a calendario li associa all'ordine culturale della chiesa universale, mentre i soggetti trattati li mettono in collegamento con la Bibbia. Di conseguenza, possiamo affermare che gli spettacoli del mistero sono universalizzati sia esternamente che internamente - internamente grazie all'identificazione dello spettatore con Cristo e al rafforzamento della sua fede personale.

Il Morality Play medievale, un genere alquanto crudo che drammatizza una singola idea elaborandola con gli ornamenti dell'allegoria, dimostra tuttavia il potere del palcoscenico nel fornirci simultaneamente un'immagine particolare e un significato universale. L'eponimo eroe di Everyman, una figura sia collettiva che singolare, sebbene sia senza tempo, a un certo momento ci viene posto innanzi, lungo il continuum del tempo universale (la storia del mondo dalla Creazione all'Apocalisse). Tutti gli spettacoli della moralità hanno personaggi e trame universali che pongono il microcosmo dell'individuo al di sopra e contro il macrocosmo della concezione di Dio. Hanno tutti a che fare con la Caduta e la Redenzione, la dottrina centrale della Bibbia. Everyman introduce figure allegoriche prese dalla tradizione, come i sette peccati capitali, insieme ad altri modelli medievali, come la morte, il flagello universale (una figura piuttosto non-biblica nella sua persistenza fatalistica). Avvincente persino per il pubblico non occidentale, l'opera riflette nondimeno un problema conosciuto da Dante: il peccato cristiano, come l'Inferno, è più semplice da rappresentare rispetto alla Redenzione o al Paradiso.

Auden una volta osservò che un'arte cristiana è una contraddizione in termini. Come dimostra la rappresentazione di Cristo nel poema eponimo in inglese antico, e come conferma la sua descrizione da qualche altra parte nella letteratura medievale, la personificazione artistica diretta di tali temi spirituali è problematica. Forse la soluzione migliore è una collocazione mirata a combinare Cristo nella sua perfezione insieme a una figura secolare in tutta la sua imperfezione. Di questo genere è la sublimazione del cristiano entro valori eroici realizzata da Malory, e la collocazione di temi che Caxton, nella sua prefazione alla Morte Darthur, può aver sottolineato quando elenca i Nove Personaggi, tre pagani, tre ebrei, tre cristiani, come contesto per comprendere l'eroe di Malory, che egli designa come il più grande di tutti. Artù assorbe qualcosa da ognuno degli altri: la virtù mitica, militare e politica di, rispettivamente, Ettore, Alessandro il Grande e Giulio Cesare; il potere profetico, regale e amministrativo di Giosuè, Davide e Giuda Maccabeo ; la forza pratica e il fascino romantico di Carlo Magno e Goffredo di Bologna. Sebbene Malory possa usare archetipi ben più profondi, fonde esplicitamente le figure di Artù e Cristo, così da sacralizzare i temi eroici e secolarizzare quelli religiosi. Artù è morto, "Yet some me say in many parts of England", dichiara Malory, "that King Arthur is not dead, but had by the will of our Lord Jesu into another place. And men say that he shall come again and he shall win the Holy Cross. Yet I will not say that it shall be so", commenta Malory, "but rather I will say, Here in this world he changed his life" ('Eppure alcuni mi dicono in molte parti d'Europa, che Re Artù non è morto, ma, su volontà di nostro Signore Gesù, è andato in un altro luogo. E gli uomini dicono che tornerà di nuovo e conquisterà la Sacra Croce. Comunque io non dirò che andrà così, ma piuttosto dirò che Qui, in questo mondo, egli cambiò la sua vita'). Anche se apparentemente sembra preferire una costruzione secolare più che religiosa del suo eroe, in realtà lo presenta in entrambi i modi. Anche se solo nella figura di questo eroe semi-divino (la sua trama è troppo inesattamente episodica), Malory raggiunge l'unità e la profondità della tradizione epica continentale, con un successo sufficiente a far fuggire Milton dal suo soggetto.

Solo una generazione separa il testardo Ralegh (1552?-1618) dal mutevole Donne (1572-1631), ma la differenza nel loro modo di trattare un singolo topos rivela la differenza tra due epoche. Nel libro I de The History of the World, Ralegh enuncia il principio, con le sue radici bibliche e il tronco medievale:

Man, thus compounded and formed by God, was an abstract or model, or brief story of the universal … endued with the powers and faculties of reason and other abilities, that thereby he might govern and rule the world and all other God's creatures therein. … And because in the little frame of man's body there is a representation of the universal, … therefore was man called microcosmos, or the little world.
(L'Uomo, mescolato e foggiato da Dio, era un estratto, un modello o una breve storia dell'universale … dotato dei poteri e delle facoltà della ragione e di altre capacità, in modo che potesse governare e dominare il mondo e tutte le creature di Dio. … E poiché nella piccola struttura del corpo umano c'è una rappresentazione dell'universale, … allora l'uomo venne chiamato microcosmo, o piccolo mondo.)

Ralegh continua a elaborare il principio delle corrispondenze - "The four complexions resemble the four elements … the seven ages of man the seven plants" ('Le quattro carnagioni rispecchiano i quattro elementi … le sette età dell'uomo le sette piante') - in cui "also is the little world of man compared, and made more like the universal" ('anche il piccolo mondo dell'uomo viene paragonato, e reso più simile all'universale'). Insoddisfatto di questa visione equilibrata dell'universale e del particolare, Donne innalza il secondo: "It is too little to call man a little world" ('È troppo poco definire l'uomo un piccolo mondo'), annuncia nella sua quarta meditazione. "Except God, man is a diminutive to nothing" ('Eccetto Dio, l'uomo non è più piccolo di nulla'). In altre parole, l'uomo è più ampio del mondo, è egli stesso un universo. Parimenti, l'uomo è diverso dal mondo: "For as the whole world hath nothing to which something in man doth not answer, so hath man many pieces of which the whole world hath no representation" ('Perché, come il mondo intero non ha alcunché cui qualcosa nell'uomo non corrisponda, così l'uomo possiede molti pezzi di cui il mondo intero non ha alcuna rappresentazione'). Come un universale, capace di trascendere il mondo, egli riesce a farlo mediante l'esercizio della mente:

I their creator am in a close prison, in a sick bed, anywhere and any one of my creatures, my thoughts, is with the sun, and beyond the sun, overtakes the sun, and overgoes the sun in one pace, one step, everywhere.

(Io, loro creatore, mi trovo in una prigione chiusa, in un letto per malati, ovunque e ognuna delle mie creature, dei miei pensieri, è con il sole e oltre il sole, supera il sole, e oltrepassa il sole con un passo, ovunque.)

Attraverso la propria immaginazione, l'uomo è un creatore alternativo, e i particolari della sua esperienza rivaleggiano in importanza con gli universali della teologia. Con una nuova cosmologia, una nuova scienza e una nuova etica della virtù interiore che prende forma attorno a lui, Donne postula un nuovo universo. Lui e la sua amante stanno al suo centro (nella poesia intitolata The Sun Rising), i loro occhi percepiscono e contengono questo nuovo mondo (nella poesia The Canonization). La sua poesia, allora, è sia una riflessione dell'universo che un universo stesso. Ci stiamo avvicinando a Mallarmé. A una mezza generazione di distanza tra Ralegh e Donne c'è Shakespeare (1564-1616). Meno coerente delle loro, la sua visione è a volte armoniosa, a volte discordante, a colte comica, a volte tragica. I suoi eroi sono spesso tragici proprio perché scambiano il propri universi personali per l'universo in generale.

Il Rinascimento segnala non la rinascita di un antico universo, ma la nascita di uno nuovo. La Bibbia e i classici servono da levatrici. La traduzione è uno strumento fondamentale non solo per rendere fruibili i testi, ma anche per mostrare come produrre il nuovo dal vecchio. La Bibbia, tradotta in inglese una dozzina di volte in quel periodo, è originale ed eccitante, ma di per sé non è sufficiente come fonte d'ispirazione. Come Petrarca aveva reinventato Roma e aveva trovato una voce tramite Dante, così Wyatt, Surrey e Sidney reinventano il Petrarca, in opere che non sono né traduzioni né poesie originali, ma qualcosa di nuovo e sincretico. Sono richieste traduzioni dei classici, e queste a loro volta forniscono ulteriori modelli per combinare il vecchio con il nuovo.

Sidney, non meno che Golding, Chapman e Campion, è uno dei grandi traduttori creativi del periodo. Sebbene qualche volta egli riscriva un testo straniero in inglese, è piuttosto il suo trasferimento indiscriminato di generi esotici nella corrente letteraria inglese a costituire il suo contributo principale. L'idillio pastorale rappresentato nell'Arcadia, la sequenza di sonetti in Astrophil and Stella. Come se questo non fosse già abbastanza, egli sincretizza Platone, Aristotele e Orazio, con le proprie visioni, per offrirci la prima teoria universale della poesia in inglese. Come il mondo descritto nell'Utopia di Moro, tutti i mondi creati da Sidney sono superiori a questo mondo, gerarchico, olistico, sereno. In accordo con la sua teoria classica universale, tutta la scienza e l'arte sono dirette verso l'architechtonike, "the mistress knowledge" ('la Sapienza'), una meta eccezionalmente ambiziosa e pratica, che abbraccia il sé, l'etica e la politica. Per Sidney, la poesia stessa è universale, ossia, onnicomprensiva, capace d'impartire "all knowledge, logic, rhetoric, philosophy natural and moral" ('tutta la conoscenza, la logica, la retorica, la filosofia naturale e morale'). In un gesto eclettico riunisce assieme le teorie non solo dei teorici classici, ma anche di Bembo, Scaligero, Clauserus, Landino e "the poets themselves". La poesia "is so universal that no learned nation doth despise it" ('è così universale che nessuna nazione la disprezza'). In altre parole, la poesia appartiene al mondo intero.

Sidney chiude poeticamente la sua Defense evocando il tempo, la morte e l'amore, tre importanti temi universali che anche Shakespeare, nei suoi Sonnets , associa alla poesia. Un secolo prima, anche Leonardo li aveva collegati. Nei suoi taccuini egli apostrofa il "Tempo" che, secondo lui, consuma tutte le cose, e la "Vecchiaia" (morte) che distrugge tutte le cose, per poi tornare a "Elena". Nell'età classica essa rappresentava il simbolo dell'Amore. Quando Elena si guardò allo specchio e vide le rughe che la vecchiaia aveva segnato sul suo volto, pianse e si chiese perché fosse stata sopraffata per ben due volte.

Sebbene il tempo e la morte siano toccanti e universali, non sono interessanti tanto quanto l'amore. Nell'età classica, Elena rappresentò un simbolo adeguato dell'amore. Durante il Rinascimento, alcuni tentarono di farla rivivere. È significativo che Leonardo stesso si rifece ad altri modelli, maschili e femminili, più sinistri e misteriosi di Elena. È in atto una proliferazione di generi, tale da sorpassare la mitologia classica. In poche parole, stiamo assistendo a una nuova teogonia, cui contribuiscono Spenser, Shakespeare e Milton, insieme ai vari sonettisti e teologi.

Come aveva già indicato Shakespeare, l'amore sarebbe stato un tema centrale. Per la maggior parte del tempo egli è "romantico", anche se a volte appare disilluso e tragicamente triste. Tra le sue opere di maggior fascino universale ci sono Romeo and Juliet, Antony and Cleopatra e The Tempest o, tra quelle più leggere, A Midsummer Night's Dream, As You Like it e Much Ado About Nothing. In questo senso Milton si avvicina di più a Molière e alla novella, poiché il suo tema centrale è l'amore domestico. Milton non aveva inclinazioni romantiche. Come scrittore universale, tuttavia, egli possedeva il potere generalizzante di Shakespeare, il suo eclettismo e, sorprendentemente, la sua capacità di intendersi con la gente comune. Parlerò di Milton più in là.

E Spenser? Dopo Valmiki, Ovidio e Dante, dopo gli appassionati poeti dei poemi cavallereschi e dell'amour courtois, Spenser potrebbe esser considerato il più grande poeta dell'amore. In effetti potrebbe sorpassarli tutti quanti. Più credibile di Dante, più etico di Ovidio, più filosofico dei poeti cavallereschi, Spenser racchiude in sé molte altre virtù: la spiritualità di Dante, la varietà di Ovidio, l'umorismo di Ariosto. Egli riesce con successo a inventare il proprio sistema. D'altra parte, le sue innumerevoli fonti e le trame multiformi hanno fornito alla sua allegoria più dettagli su cui lavorare di quanti gliene avrebbe potuti fornire una sola tradizione o storia.

Naturalmente Spenser è molto più che un poeta dell'amore. Nella sua terra fatata ("faerie land") egli ha disposto un intero mondo d'immaginazione. Non un altro mondo, ma questo mondo. In altre parole, non è fantastico, è reale. Questo crea un problema per il lettore moderno che considera reale solo ciò che può esser mostrato in una fotografia. Come in Platone, il nostro mondo è solamente un'ombra di quel mondo ideale delineato da Spenser, ricolmo di tutte le verità e valori di cui era a conoscenza. Chi è la regina fatata? Certamente non è la Regina Elisabetta, che mostrò la sua gratitudine compensando Spenser con solo cinquanta sterline l'anno. Una figura più gloriosa, nella sua incarnazione arturiana è chiamata Gloriana, la consorte del re - che ci aiuta di nuovo a capire perché Milton scelse un altro soggetto. A differenza di Eva, che è solamente una parte di esso, la regina fatata racchiude il mondo, assorbendo molte delle dee e delle figure allegoriche (Saggezza, Natura, Mutevolezza) classiche e cristiane con le quali Spenser aveva familiarità.

Spenser non sapeva tutto ciò che c'è da sapere sulle donne, e il suo poema non è affatto completo. Egli aveva intenzione di continuarlo, fino a raddoppiarne la lunghezza, ma morì a quarantanove anni. (Come Shakespeare, la sua opera è l'opera di un giovane uomo.) Ciononostante, l'universalità del poema - la sua comprensività, il suo potere d'astrazione, la sua generale validità etica - probabilmente, non verrà mai eguagliata. Sotto questo aspetto, Dante è l'unico rivale di Spenser. A volte Spenser ci appare come un poeta più grande persino di Virgilio. Egli è un modello esemplare di civiltà e autocoscienza illuminata. A confronto Milton appare come un individuo stizzoso.

Qualunque studio riguardo l'elemento universale nella letteratura inglese del XVI secolo sarebbe incompleto senza Marlowe. Dr. Faustus è di gran lunga superiore alle altre sue opere, e ad altri tentativi letterari di afferrare il problema filosofico e culturale dell'epoca. Visto che quel problema è diventato universale, l'opera di Marlowe ha acquisito un fascino universale paragonabile a quello della Waste Land di Eliot. Entrambe le opere descrivono l'uomo intrappolato tra il mondo tradizionale e il mondo moderno. Per i contemporanei di Marlowe, Faust rappresenta tutti quelli che avevano abbandonato la Chiesa Cattolica Romana. In un senso più generale, egli potrebbe rappresentare chiunque abbia perso la fede. Per i contemporanei di Marlowe, egli potrebbe rappresentare coloro che si dilettavano nelle scienze, o coloro che avevano capito che l'universo non era più gerarchico. Come Donne, Faust ha capito che l'uomo è divino, ma pur sempre soggetto alla dannazione di Dio. In senso generale, egli potrebbe rappresentare coloro che hanno capito che l'uomo deve creare un nuovo mondo, che l'individuo deve dipendere solo da se stesso, e che tale impresa è piena di pericoli.

Il Faust di Marlowe (e poi di Goethe), il Falstaff e l'Amleto di Shakespeare, il Don Chisciotte e il Sancho Panza di Cervantes, il Don Giovanni di Byron e di Mozart, sono tutti miti universali che, come la figura dell'Uomo Qualunque, dipendono dai prototipi di Adamo e Cristo. Nella loro sofferenza, Faust, Amleto e Don Giovanni si accollano un fardello simile a quello di Cristo per il lettore moderno, che è passato dalla Bibbia alla lettura laica in cerca dell'illuminazione. Come la figura di Artù, il loro fascino universale può esser in parte attribuito alla persistenza di un archetipo. Alla fine del Rinascimento, Milton rende esplicito questo archetipo chiamando uno dei suoi eroi Adamo, l'altro Cristo.

Nessuno dei nostri autori rinascimentali chiama il proprio eroe Uomo Qualunque, eppure Faust, Amleto, Adamo e Cristo ne sono un chiaro esempio. Anche se nella sua etica è chiaramente cristiano, Shakespeare rimane laico nell'espressione, e ciò aumenta il suo fascino universale. In questo caso la sua varietà è anche un fattore primario. Proprio come ogni epoca ha avuto il suo Shakespeare, così le varie culture hanno scelto le loro opere teatrali favorite. Hamlet è l'eccezione che conferma la regola, in quanto ha goduto e gode di una popolarità universale, sia dal punto di vista storico che geografico, e il motivo non è molto difficile da scoprire. Il personaggio Amleto, e tutta l'opera in sé, è pieno di contraddizioni. Per Amleto ogni cosa è problematica: il rapporto con il mondo degli spiriti, con la propria famiglia e i propri amici, con la persona amata e con se stessi. Inoltre, le sue ingegnose soluzioni a questi problemi non sono soddisfacenti. Se la situazione descritta da Shakespeare in quest'opera non fosse universalmente percepita come la condizione dell'uomo in generale, l'Hamlet non sarebbe certamente così popolare.

A volte si dice che Ben Jonson possedesse ciò che a Shakespeare mancava: erudizione, decoro, un realismo etico. Per coloro che adorano la moralità, se ne trovano dei buoni esempi negli epigrammi, nei versi satirici, nelle opere teatrali e negli spettacoli allegorici. Sotto certi aspetti anche il Volpone è universale - nella sua struttura favolosa, nel suo tema egoistico, nei suoi elementi comici che fanno propria la tradizione classica. Tuttavia, ciò che Jonson dimostra è che si può esser universali ma non particolarmente affascinanti. La poesia non è solo una trascrizione di procedimenti e giudizi fondati. Deve possedere anche la passione, lo spirito e l'ispirazione che associamo a Shakespeare.

Le opere teatrali di Shakespeare possono esser considerate come costituenti un mondo, ma è stato Milton che ha scritto l'epica universale del Rinascimento. Perciò, a differenza dei suoi predecessori romani (Lucrezio, Virgilio, Ovidio), Milton non assomiglia nemmeno agli universalisti contemporanei. Bacone aveva diffuso i principi, o perlomeno certe procedure, su cui si basa la nostra conoscenza scientifica universale. Hobbes aveva intrapreso un processo simile nel regno della teoria politica. Cartesio si era impegnato in un progetto filosofico universale. In antitesi, Milton è antidiluviano: mitico, biblico, teologico. Nella sua doppia prospettiva egli assomiglia a Thomas Browne, che prosegue il cammino da Ralegh a Donne cui abbiamo assistito: "Whilst I study to find out how I am a microcosm or little world, I find myself something more than great" ('Mentre studio per scoprire in che modo sono un microcosmo o un piccolo mondo, scopro di essere qualcosa di ancor più grande'). Browne preannuncia sia l'interiorità sia l'ampiezza di Milton. "The world that I regard is myself" ('Il mondo che osservo è me stesso'), e poi: "There is all Africa and her prodigies in us" ('Dentro di noi c'è tutta l'Africa e i suoi prodigi'). Come Browne, Milton è universale sia all'interno che all'esterno. E, per quel che riguarda l'autorevolezza, egli condivide lo spirito indipendente di Browne: "I borrow not the rules of my religion", asserisce il medico, "from Rome or Geneva but the dictates of my own reason" ('Non traggo le regole della mia religione da Roma o da Ginevra, ma dai dettami della mia ragione').

Per il suo poema epico, Milton cerca un mito biblico avversativo, fatalistico tanto quanto la caduta di Troia di Omero, e lo trova nella caduta dell'uomo. Nella resistenza di Cristo alla forza che aveva fatto cadere Adamo, Milton scorge la controparte redentrice del ritorno di Odisseo. Come ermeneutica omerica e allegoresi biblica è impeccabile, così come lo è ogni altra cosa nell'arte di Milton. Dobbiamo solo ingoiare le pillole del peccato originale e della crocifissione per annullare la nostra miseria ed entrare nel paradiso della visione di Milton. Il mistero consiste nel capire perché quelle persone che non riescono a entrarci continuano ad ammirarlo. In questo, Milton è universale tanto quanto Dante.

Enormemente cosmopolita in un senso, Milton, come Ezra Pound, è provinciale nello zelo da maestro di scuola con cui trasforma la propria mente in un'enciclopedia biblica e classica, in un dizionario di una dozzina di lingue, in una macchina libellista. Oltre a sposare una ragazza di diciassette anni, che in seguito ignorò, Milton non fece altro che leggere in continuazione - finché non raggiunse la meta omerica della cecità. Perché Milton stesso è un ampio vuoto, un riavvolgimento della storia al momento del caos esiodico, un avanzamento rapido verso la dissolvenza nella sensazione interiore di Pater. È in questo senso che Milton è il più universale: egli include tutte le possibilità. Ma lui stesso non è una di esse. In quanto egli si è sistematicamente reimmaginato: come Adamo ed Eva, come Satana, come Dio. Questa è la sua opera principale, la cupola centrale rispetto alla quale Cristo e Sansone sono dei pennacchi. Egli assomiglia al mondo, poiché amava molto il mondo dei suoi tempi. Ma, come ha notato Blake, il suo rapporto con il mondo era quello di un Omero visionario, la cui voce egli imitò più direttamente nella prosa che nei versi:

Methinks I see in my mind a noble and puissant nation rousing herself like a strong man after sleep, and shaking her invincible locks: methinks I see her as an eagle mewing her mighty youth, and kindling her undazzled eyes at the full midday beam; purging and unscaling her long-abused sight at the fountain itself of heavenly radiance; while the whole noise of timorous and flocking birds, with those also that love the twilight, flutter about, amazed at what she means, and in their envious gabble would prognosticate a year of sects and schisms.

(Penso di vedere nella mia mente una nazione nobile e potente che si solleva come un uomo possente dopo un lungo sonno, e scuote i suoi invincibili ricci: penso di vederla come un'aquila che stride la sua poderosa giovinezza, e dischiude i suoi occhi alla piena luce del sole; purificando e desquamando alla fontana del fulgore celeste la sua vista a lungo abusata; in sottofondo, il rumore di stormi di uccelli timorosi, che amano il crepuscolo, scuotono le ali e, sbalorditi da ciò che essa significa, nei loro borbottii invidiosi preannunziano un anno di sette e scismi.)

Douglas Bush considerava Milton il secondo dei poeti inglesi, seduto accanto al trono di Shakespeare. In realtà, Milton può esser considerato o il primo o il quarto dei poeti inglesi, a seconda del proprio atteggiamento nei confronti della vita. Se crediamo a ciò cui Milton credeva, allora Milton è il sommo poeta. Ma se pensiamo che Chaucer, Spenser e Shakespeare ci hanno insegnato a vivere, allora Milton è inferiore a loro. Milton ha successo ovunque il cristianesimo evangelico mette radici.

I principali seguaci di Milton sono Blake, Wordsworth e Byron. Ognuno di essi ha un piano originale per continuare l'universalizzazione di Milton.

Blake crea un "Uomo Universale" che assorbe le figure di Adamo e Cristo, ma soppianta Dio e prende il posto delle divinità classiche, disprezzate da Blake. Questa "Human Form Divine" ('Divina Forma Umana') abbraccia il cosmo e comprende i suoi vari stadi di sviluppo, e quindi incorpora la storia. Tra gli obiettivi di Blake ci sono la "Universal Brotherhood" ('Fratellanza universale') e lo "Universal Poetic Genius" ('Genio Poetico universale'), con il quale egli intende il conferimento dell'immaginazione a ogni uomo ("All", dice, "are alike in the poetic genius").

Wordsworth scopre i suoi principi universali nella natura e nella propria mente. The Prelude, che lui sottotitolò "Crescita della mente di un poeta", imita la voce interiore di Milton, riducendo il soggetto del Paradise Lost allo sviluppo della concezione del cosmo propria del poeta. In questa democratizzazione dell'universo Wordsworth segue Blake e preannuncia Whitman. Come Blake, egli crede che la sua mente sia in grado di trasformare la natura. Il microcosmo (per usare il termine che abbiamo già citato) assorbe il macrocosmo, e addirittura ne crea una metà. In questo processo di ricerca naturale, il poeta afferma "I looked for universal things" (Prelude, III, verso 109). Nei versi successivi, Wordsworth reinventa universali come "that first paradise", "highest truth" e "Divinity itself".

Nel Don Juan, Byron offre una riduzione comica della Caduta dell'Uomo, ripetendo la sua struttura in ogni episodio successivo. A differenza di Adamo, che sprofonda nel peccato, Giovanni precipita solamente nell'esperienza. Come il poema di Byron, e come la vita stessa, l'esperienza è aperta. La struttura senza precedenti del Don Juan prefigura la concezione moderna di un universo organico, incompleto e in continua espansione. L'eroe di Byron, una figura mitica moderna come il Faust di Goethe, è indipendente dai modelli biblici e classici, anche se racchiude e combina qualità adamitiche e odissee. Giovanni, come il Faust di Goethe, esprime sia l'universale che l'autobiografico - quest'ultimo modello diviene esso stesso sempre più universale con l'avvicinarsi del XIX secolo. Come The Prelude, il Don Juan è imparentato al Bildungsroman. Come l'opera di Blake, quella di Byron si muove verso un'universalità geografica, girando deliberatamente intorno all'Europa nei suoi diciassette canti tuttora esistenti, per avviarsi probabilmente verso mete più lontane nei suoi rimanenti ottantatre canti, rimasti incompiuti. Malgrado la sua decisa modernità, Byron, come Blake e Wordsworth, ravviva e continua la nobile tradizione dei lunghi poemi, assorbendo modelli romantici come l'Ariosto, trascurato dai suoi coetanei. Persino nella sua forma attuale, il Don Juan è un'opera completa.

Nel prendere in considerazione l'elemento universale nell'Inghilterra romantica del XIX secolo, possiamo lanciare una breve occhiata all'Europa continentale. A differenza di Byron, fortemente intenzionato a fuggire dal provincialismo inglese, Goethe abbracciò totalmente la cultura tedesca, in un'opera che Schiller descrisse come "il poema tipico dei tedeschi", una frase che potremmo così modificare: "il poema universale per i tedeschi". Questo perché Goethe è uno dei pochi scrittori occidentali che sia riuscito a ideare ed eseguire con successo un'opera di cultura nazionale - altri esempi possono essere Virgilio, Camões e lo Shakespeare di Henry IV ed Henry V. Come il primo, e a differenza degli altri due, anche l'opera di Goethe ha raggiunto ciò che Schlegel, parlando del Frühromantiker (la cui opera seguì quella di Goethe), descrisse come "eine progressive Universalpoesie". In altre parole, Goethe non solo rappresenta la cultura tedesca, ma sviluppa anche una visione della cultura mondiale. È in lui che ha origine la nostra concezione di Weltliteratur, o letteratura universale. Verso la metà del XIX secolo, Baudelaire introduce un altro senso del potenziale universale della letteratura quando definisce il poeta come "un traducteur, un déchriffreur" ('un traduttore, un crittografo') che attinge da "l'inépuisable fonds de l'universelle analogie" ('l'inesauribile fondo dell'analogia universale').

Tuttavia, la maggior parte di ciò che è universale nella letteratura inglese - o più in generale, occidentale - si sviluppa senza una definizione di universalità e senza alcuna approvazione che l'universalità stessa sia auspicabile. Paradossalmente, proprio nel momento in cui le letterature occidentali cominciano ad avvicinarsi alla particolarità (l'esperienza personale e la rappresentazione realistica), l'universalità diventa un argomento di discussione. A questo punto, può esserci d'aiuto dare una rapida occhiata ai fatti di maggior interesse nella storia moderna del concetto.

Nei secoli XVI e XVII gli scrittori riesumano i classici greci e romani come modelli da imitare. Gradualmente si sviluppa un interesse verso le circostanze storiche durante le quali tali opere erano state prodotte. Questo porta a sua volta alla definizione degli universali che sono alla base delle opere di tutte le culture e di tutti i periodi storici. La scienza e la filosofia razionale incoraggiano la formulazione di una teoria letteraria dell'universalità che abbracci valori come la natura, la ragione e la verità, che sostituiscono universali anteriori come Adamo, Cristo e Dio. Nei secoli XVII e XVIII viene stabilito un canone: Omero, Virgilio e Ovidio dal mondo classico della Grecia e di Roma; Chaucer, Shakespeare e Milton dalla storia letteraria inglese. Si dice che queste figure esprimano la "natura", o la "natura generale", come nella famosa dichiarazione di Johnson.

Verso la fine del XVIII secolo, i critici iniziano a difendere le opere che si allontanano dai classici. La battaglia tra gli antichi e i moderni continua, con i secondi che guadagnano sempre più terreno. A questo punto avviene uno spostamento concomitante: dall'interesse per le regole, all'interesse per l'universale, considerato come la caratteristica definente dell'arte e come un principio prescrittivo. L'imitazione dei modelli viene rifiutata a favore della rappresentazione della realtà. Si pone una maggiore attenzione al processo creativo, all'immaginazione del poeta, al suo "genio". Quest'ultimo, considerato un potere che affascina tutti gli uomini, assume gradualmente lo status di universale. L'enfasi comincia a spostarsi verso l'audience dell'opera d'arte. Vengono enfatizzati il concetto di "umanità generale", dell'essere umano "naturale" (come lo si trova in Rousseau) e la sua reazione all'opera d'arte. Il poeta e il lettore condividono un'umanità universale. In questi passaggi dall'antico al moderno, dalla natura all'arte, dalla poesia alla mente del poeta al suo sensibile uditore, si evolve una nuova accezione di "universale". Perché non sono più i generi, i temi o le lezioni morali della poesia a esser presi in considerazione, ma ciò che è essenziale, individuale, ineluttabile.

Torniamo ora, nel nostro esame della letteratura inglese, a quei critici inglesi neoclassici che per primi avevano dato una definizione dell'universale. Nel suo An Essay of Dramatic Poesy (1668), Dryden fa dire a uno dei suoi interlocutori: "A thing well said will be wit in all languages; and though it may lose something in the translation, yet to him who reads it in the original, 'tis still the same …" ('Una cosa ben detta è comprensibile/intelligente in tutte le lingue; anche se potrà perdere qualcosa nella sua traduzione, per colui che la legge nella versione originale, rimane sempre la stessa …'). In altre parole, l'essenza di un testo è universale, mentre la sua espressione verbale è accidentale. Possiamo notare che Dryden sta anche preparando il terreno all'uso della traduzione per la fondazione di una letteratura mondiale. Come Pope, e a differenza di altri poeti maggiori, egli dedica la maggior parte della sua carriera alla traduzione dei classici. Ma Dryden è anche un difensore del moderno, un nuovo valore universale emergente. A differenza di Johnson, che sfavorevolmente paragona Shakespeare ai modelli classici, Dryden perora la modernità del Bardo. Come Johnson, anche lui pone l'accento sulla comprensività di Shakespeare: "He was the man who of all modern, and perhaps ancient poets had the largest and most comprehensive soul" ('Tra tutti i poeti moderni, e forse anche tra quelli antichi, lui è stato l'uomo con l'anima più grande e comprensiva'). Paradossalmente, sebbene rafforzino il suo rispetto per il moderno, le produzioni iniziali in versi e i drammi poetici di Dryden rappresentano un abbandono del suo patrocinio critico dell'universalità. A differenza del disegno cosmologico e globale che troviamo in Milton, l'opera del suo principale seguace è di ampiezza molto minore, e molto più particolare nei dettagli.

In questo, l'opera di Dryden accompagna lo sviluppo dell'espressione borghese, come quella del suo contemporaneo John Bunyan che, ne The Pilgrim's Progress, riduce il macrocosmo dell'allegoria biblica al microcosmo dell'esperienza cristiana individuale. Naturalmente, un'enfasi sull'individuo e sulla sua esperienza è una caratteristica di primo piano del romanzo, il genere più originale sorto nel periodo, praticato dai più importanti scrittori di prosa del secolo successivo: Defoe, Richardson, Fielding, Sterne e Austen. Esso rappresenta, tra le altre cose, tali aspetti universali dell'esperienza come l'Erziehung ('educazione') e l'Entwicklung ('sviluppo'), per usare i termini tedeschi che definiscono due dei suoi sottotipi.

Nel XVIII secolo, il termine "universale" comincia a essere usato esplicitamente come una misura di merito. Addison, per esempio, riguardo al Paradise Lost dice che "The great moral which reigns in Milton is the most universal and the most useful than can be imagined" ('La grande morale che predomina in Milton è la più universale e utile che si possa immaginare'), un commento che Johnson sottoscrive: "It is justly remarked by Addison that this poem has, by the nature of its subject, the advantage above all others, that it is universally and perpetually interesting" ('Addison osserva giustamente che questo poema possiede, per la natura del suo soggetto, il vantaggio di esser, più di tutti gli altri, universalmente e permanentemente interessante'). Per "interesting" Johnson intende "in our interest to know" ('è nel nostro interesse sapere'), come chiarisce nella frase successiva: "All mankind will, through all ages, bear the same relation to Adam and to Eve, and must partake of that good and evil which extend to themselves" ('Attraverso i secoli, tutto il genere umano mostrerà lo stesso legame con Adamo ed Eva, e dovrà condividere il bene e il male che arriva fino a loro'). Per entrambi gli scrittori, Johnson e Addison, l'universalità denota ciò che tutti i cristiani accettano come universalmente vero. Johnson ha rinnegato l'allargamento del termine che lui e Dryden avevano assunto nella loro critica a Shakespeare.

Non tutti gli scrittori del XVIII secolo approvano pienamente il nuovo principio. Più scettico di Johnson, Swift è ambivalente riguardo al valore dell'universalità, specialmente quando promuove un utopismo scientifico. Nel capitolo III del Gulliver's Travels, per esempio, egli tratta con ironia le speranze entusiaste del protagonista per la scoperta delle formule e dei rimedi universali, inclusa "la medicina universale", una formula per la vita eterna. Da qualche altra parte Swift ridicolizza l'idea di un linguaggio universale, di un monarca universale, e del desiderio dell'immortalità solo perché è universale. Sebbene egli includa la matematica nel suo curriculum ideale, egli esclude quelle scienze che si basano sulle leggi universali. Ne The Tale of a Tub egli rifiuta la sostituzione del microcosmo con il macrocosmo: "For what man, in the natural state or course of thinking, did ever conceive it in his power to reduce the notions of all mankind exactly to the same length, and breadth, and height of his own?" ('Quale uomo … hai mai pensato di avere il potere di ridurre le nozioni di tutta l'umanità esattamente alla stessa lunghezza, larghezza e altezza delle sue?).

Allo stesso tempo, anche se solo implicitamente, Gulliver's Travels appoggia il principio di universalità, forse in maniera più risoluta di qualunque altra opera dall'Utopia di Tommaso Moro. La sua estensione geografica, la sua tipologia dei vizi e delle virtù umane, la sua concezione dell'homme moyen sensuel, sono tutti elementi che implicano tale principio. D'altra parte, l'accoglienza mondiale del libro da parte di lettori giovani e anziani, è una chiara prova del suo fascino universale. Infatti Swift è uno dei primi scrittori occidentali moderni (come Shakespeare) a raggiungere un'universalità senza fare esplicitamente affidamento su valori classici o cristiani. L'osservazione del Dottor Johnson secondo la quale una volta afferrato il principio dei Giganti e dei Lillipuziani si capisce l'essenza del libro, identifica il piano dei capitoli I e II ma non riesce a riconoscere le fonti del suo fascino universale. Ironicamente, è proprio qui che Swift si rivolge alla "natura generale", sia che si tratti delle nostre fantasie di supremazia, o della nostra comune esperienza infantile. Come quei critici che considerano troppo elementare lo schema ideato da Cervantes che rappresenta l'idealista pelle e ossa e il realista grassottello, Johnson o è insensibile al genio di Swift oppure ne è invidioso. Mentre Rasselas è universale nelle sue generalizzazioni filosofiche, Gulliver's Travels è universale nel suo fascino: tutti sono interessati a degli animali che sanno parlare.

Alexander Pope può esser considerato come un punto di svolta nello sviluppo della letteratura inglese. In un senso egli è completamente principio generale, nell'altro è completamente esperienza personale. Due delle sue opere principali, l'Essay on Criticism e l'Essay on Man, si occupano fondamentalmente degli universali. "First follow Nature", afferma il poeta,

Unerring Nature, still divinely bright,
One clear, unchanged, and universal light …
(Prima segui la Natura, la Natura infallibile, sempre divinamente luminosa,
Una luce chiara, immutata e universale …)

La definizione di Pope del principio neoclassico ne suggerisce l'universalità geografica. La sua definizione di intelligenza, d'altra parte, suggerisce l'universalità storica della natura:

True wit is Nature to advantage dressed,
What oft was thought, but ne'er so well expressed.
(La vera intelligenza è la Natura rifinita per renderla migliore,
Ciò che spesso venne pensato, ma mai così bene espresso.)

L'Essay on Man, il poema cosmologico più ambizioso dai tempi di Milton, inizia con il tema, "Of the Nature and State of Man, With Respect to the Universe", facendo rivivere il motivo del microcosmo e del macrocosmo che è apparso spesso nelle opere d'immaginazione universale. A tale proposito, Pope segue l'enfasi progressiva sul piccolo mondo presente in Ralegh, Donne e Browne:

Know then thyself, presume not God to scan;
The proper study of mankind is Man.
(Allora conosci te stesso, non occuparti presuntuosamente di Dio;
L'appropriato studio del genere umano è l'Uomo.)

Se l'Essay on Criticism enuncia i principi universali della critica, l'Essay on Man enuncia i principi universali della natura umana, principi che Pope ha in parte raccolto dalla sua imponente opera di traduzione di Omero e di redazione di Shakespeare, entrambi poeti della natura generale. Che Pope non sia solo un poeta della luce universale ci viene rivelato ne The Dunciad, il cui verso finale, "And Universal Darkness buries All", esprime un altro principio egualmente importante. "All", un'altra parola per il cosmo, presa assieme a "Universal Darkness" nel senso dell'estinzione, può esser interpretata come una previsione della morte del poeta (Après moi, le déluge). Se è così, qui lo sperimentale e l'universale si uniscono in una singola conclusione. Allora, si può dire che il Paradise Regain'd di Pope (il suo Essay on Man), preceda il suo Paradise Lost (The Dunciad), il cui ultimo verso forse riecheggia persino il destino del cieco Sansone, sotterrato sotto il peso del tempio dei Filistei.

La letteratura inglese del XIX secolo è principalmente una letteratura dell'esperienza personale: la poesia lirica, l'autobiografia spirituale, il saggio personale, il romanzo. Tale letteratura particolarizza le faccende umane ma non è priva dei suoi ideali. Uno di questi ideali è l'universale. Shelley, coinvolgendo nella sua Defence of Poetry i perenni valori neoclassici, definisce la poesia in termini di "its eternal truth" ('la sua verità eterna'), chiamandola "the creation of actions according to the unchangeable forms of human nature" ('la creazione di azioni in base alle immutabili forme della natura umana'). La poesia, a differenza della storia - che è "partial, and applies only to a definite period of time, and a certain combination of events which can never again recur" ('parziale, e riguarda solo un determinato periodo di tempo, e una certa combinazione di eventi che non potranno mai accadere di nuovo') - "is universal, and contains within itself the germ of a relation to whatever motives or actions have place in the possible varieties of human nature" ('è universale, e contiene dentro di sé il germe di un legame con qualunque stimolo o azione che ha luogo nelle possibili varietà della natura umana'). In altre parole, l'universale è olistico, eterno e periodico. Per una definizione filosofica più originale, dobbiamo rivolgerci a Coleridge, che riconfigura i termini classici e neoclassici in un ordine ascendente (individual, special, general, universal), che poi sintetizza nella maniera degli idealisti tedeschi. Come il Goethe di cui abbiamo già parlato, Coleridge trova nel simbolo lo strumento adatto per assimilarne uno all'altro: "A symbol is characterized by a translucence of the Specil in the Individual or of the General in the Especial or of the Universal in the General" ('Un simbolo è caratterizzato da una luminosità dello Speciale nell'Individuale, oppure del Generale nel Particolare, oppure dell'Universale nel Generale'). La serie di termini collegati produce una generalità dipendente dalla particolarità. È chiaro anche che l'universalità è diventata una cosa romantica costantemente desiderata.

Per i Vittoriani, con il loro vasto impero e un'audience popolare in continua espansione, il termine "universale" acquisisce un significato più concreto. In questo periodo, l'Inghilterra conquista l'alfabetismo universale e la comunicazione universale (attraverso le ferrovie, il telegrafo, i giornali, i libri). Per la prima volta, non solo in Inghilterra ma in tutto l'impero e nelle ex-colonie, si può cominciare a parlare di un'audience universale per la letteratura inglese. Inoltre, in questo periodo, l'inglese diventa una vera e propria lingua universale (per la fine del secolo successivo, l'audience non madrelingua supererà quella madrelingua).

"May we not call Shakespeare the still more melodious Priest of a true Catholicism, the 'Universal Church' of the Future and of all times?" ('Non potremmo definire Shakespeare il Prete ancor più melodioso di un vero cattolicesimo, la "Chiesa Universale" del Futuro e di tutti i tempi?), si chiede Carlyle, nella cui immaginazione profetica, la letteratura inglese comincia ad assumere il suo moderno status di istituzione quasi religiosa. Chiedendoci retoricamente di scegliere tra l'impero indiano e Shakespeare, Carlyle risponde: "We cannot do without Shakespeare! Indian Empire will go, at any rate, some day; but this Shakespeare does not go, he lasts forever with us" ('Non possiamo farcela senza Shakespeare! A ogni modo, prima o poi, l'impero indiano scomparirà; ma Shakespeare non scompare, rimarrà per sempre con noi'). Da qualche altra parte, definisce il Bardo "both universal and perennial" ('universale e perenne'), proprio come fece Johnson. Altri Vittoriani evocano la stessa consuetudine, esprimendo e incoraggiando l'ampia universalità dell'epoca. Ruskin ammira il Gotico per la sua universalità e pone una "universal law" ('legge universale') in difesa delle sue imperfezioni. Come Carlyle, sta solamente ampliando l'accezione neoclassica del termine. E lo stesso vale per Arnold, quando nella cultura greca e in quella ebraica scorge "a feeling after the universal order" ('un sentimento per l'ordine universale'). Ma quando quest'ultimo trova anche nella Rivoluzione Francese un appello ad "an order of ideas which are universal, certain, permanent" ('un ordine di idee che sono universali, certe e permanenti'), si sta addentrando in nuovi terreni. Perché queste idee, come le leggi della matematica ("to count by tens is the easiest way of counting", 'contare a decine è il modo più facile di contare'), possiedono una forza della verità che va al di là della semplice tradizione del canone letterario. Il principio della ragione e le sue "prescriptions" ('norme'), imposte da un nuovo ordine politico, sono "absolute, unchanging, of universal validity" ('assolute, immutabili, universalmente valide'). È significativo che l'universale venga ora associato a una serie d'idee moderne piuttosto che a un complesso di concetti antichi (ciononostante, tanto raziocinio - per non parlare della democrazia - è dovuto al mondo classico). Arnold sottintende che il futuro ordine universale sarà ideologico.

All'inizio dell'ultimo quarto del XIX secolo, ne The Renaissance, una fusione epocale del passato storico con il presente personale, Pater definisce il problema - suo e di tutto il secolo - secondo la prospettiva di Winckelmann:

For him the problem came to be: Can the blitheness and universality of the antique ideal be communicated to artistic productions, which shall contain the fullness of experience of the modern world?
(Per lui il problema fu: possono la felicità e l'universalità dell'antico ideale esser comunicate alle produzioni artistiche, che conterranno la pienezza dell'esperienza del mondo moderno?)

È un problema che preoccupa Tennyson, Browning, Arnold e i luminari minori del movimento estetico. Browning lo risolve amalgamando varie caratteristiche del soliloquio shakespeariano, della storiografia moderna e del romanzo contemporaneo in una nuova forma: il monologo drammatico.

I più grandi romanzieri vittoriani cercano altri metodi per universalizzare le loro storie, trattando spesso una vita individuale con una tale intensità da trasformarla in un emblema sub specie aeternitatis. Attraverso la voce di Pip, Dickens ci dà un indizio di questo procedimento:

That was a memorable day to be, for it made great changes in me. But it was the same with any life. Imagine one selected day struck out of it, and think how different its course would have been. Pause you who read this, and think for a moment of the long chain of iron and gold, of thorns or flowers, that would never have bound you, but for the formation of the first link on one memorable day.
(Quello sarebbe stato un giorno memorabile per me, perché portò dei cambiamenti sostanziali nella mia vita. Ma vale lo stesso per ogni vita. Immaginate la vostra esistenza senza un particolare giorno, e pensate a quanto potrebbe esser stato diverso il suo corso. Fermatevi un attimo a pensare alla lunga catena di ferro e oro, di spine e fiori, che non vi avrebbe mai legato, se non per la creazione del primo anello in quel singolo giorno memorabile.)

Con la stessa economia, il romanziere esplora quelle questioni più risonanti per il lettore, il personaggio e l'autore stesso, come quando Miss Havisham chiede a Pip "such questions as what I had learnt and what I was going to be" ('domande come cosa avessi appreso e cosa sarei diventato'). I cambiamenti nel modello sono numerosissimi: "I put my light out, and crept into bed", dice Pip mentre si trova a Londra; "and it was an uneasy bed now, and I never slept the old sound sleep in it any more" ('Ho spento la luce, e sono strisciato dentro il letto; era un letto inquieto, e non sono più riuscito a dormire i sonni profondi di un tempo'). Modellando il suo resoconto su quello mitico di Milton, riguardo l'incontro tra Adamo e Satana, Dickens sottintende che sia un lettore a terminare la favola di Pip, spengendo la luce e strisciando dentro il letto come un serpente dove, invece di sprofondare in un sonno innocente, egli cade nella sua stessa inquieta esperienza.

Utilizzando una strategia di generalizzazione, in una nota critica post facto del suo In Memoriam, Tennyson universalizza: "The 'I'", riferendosi alla voce della poesia, "is not the author speaking of himself, but the voice of the human race speaking thro' him" ('L'Io non è l'autore che parla di se stesso, ma la voce della razza umana che parla attraverso di lui'). Nell'elegia stessa, Tennyson generalizza forse con troppa grandiosità per i gusti moderni, ma alcuni principi dell'universalizzazione devono essere inerenti all'opera, altrimenti come spiegarne la popolarità mondiale? Al di là di Tennyson, l'enfasi del movimento estetico sull'arte amplia l'universalizzazione romantica dell'uomo, arrivando a definirlo in termini di un'attività formale simile nella disciplina a quelle della scienza, della religione e della filosofia. Simultaneamente, la particolarizzazione romantica dell'esperienza, inizia a creare un problema per l'aspirante universalista inglese.

La comparsa di queste difficoltà può essere imputata, in parte, anche alla maturazione della letteratura irlandese e americana. I migliori - o perlomeno i più universali - scrittori in lingua inglese del XX secolo, non sono inglesi. Yeats, Joyce e Beckett, sebbene irlandesi, sono anche internazionali, non solo in virtù delle loro dislocazioni geografiche, ma anche per un intenzionale disegno linguistico: Yeats, che conosce a fondo una tradizione aliena della poesia inglese; Beckett, che alterna l'inglese con il francese; Joyce, che crea per se stesso un enigmatico linguaggio internazionale. Gli americani, James, Pound ed Eliot, sono dislocati in maniera eguale, sebbene due di loro, come Yeats, si assumano con successo l'onere della tradizione inglese. Quando cerchiamo degli scrittori inglesi in grado di competere con gli irlandesi e gli americani, troviamo solo Hardy, Lawrence e Auden. Anche se sono tutti dei personaggi notevoli, nessuno di loro è così grandioso, per lo meno nel ruolo di universalista. Hardy e Lawrence esprimono la loro universalità nel nuovo modo, tramite un campanilismo sprezzante secondo cui tutti noi abbiamo un luogo di origine (sebbene anche Lawrence sia un giramondo). Controbilanciando l'immigrazione in Inghilterra di James ed Eliot, Auden emigra in America. Tutti e tre sono cosmopoliti, ma l'opera degli americani ha un fascino più universale di quella di Auden, come lo hanno anche le opere di Hardy e Lawrence. In una categoria a parte, Joseph Conrad, polacco di nascita ma scrittore in una lingua acquisita da adulto, è padrone del mezzo e porta come contributo la sua prospettiva cosmopolita, se non proprio universale. Forse possiede la chiave che il parlante non madrelingua può utilizzare per entrare e trasformare la tradizione della letteratura inglese.